Ragna del melo, insetto parassita

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La ragna del melo o iponomeuta è un insetto parassita che predilige attaccare il melo ma che non disdegna né le altre rosacee né altri esemplari arborei coltivati o spontanei come il biancospino e quelli appartenenti al genere prunus.

Questo insetto, faticherete a crederlo forse, ma è al centro di una vera e propria disputa. Alcuni esperti pensando vi siano due specie diverse, altri una. Quello su cui tutti sono d’accordo è che a prescindere dall’ospite preferito (si, è questa teoricamente la discriminante, N.d.R.) la ragna del melo, in ogni sua possibile espressione abbia la stessa morfologia ed il ciclo biologico. Nonché la stessa capacità di fare danni. La forma adulta di questo parassita è una farfalla dall’apertura alare di circa 20 mm le cui le ali anteriori sono bianche con una piccola punteggiatura nerastra.

Nella sua forma larvale, la ragna del melo è di colore giallo-verdastro che raggiungendo la maturità cambia colore fino a diventare giallo-grigiastro con una doppia fila di punti nerastri sul dorso ed il capo nero. Come spesso accade il danno è da imputare alle larve che agiscono come un gregge cibandosi di germogli e foglie, creandosi dei veri e propri nidi per proteggersi mentre parassitano il melo ed i loro altri ospiti. La cosa interessante? Questi insetti intrappolano il loro cibo in questi nidi, lasciando poi sulla pianta gli escrementi uniti ai fili sericei del nido insieme a pezzettini delle foglie. I nidi ovviamente vengono abbandonati a favore della costruzione di altri quando il cibo all’interno degli stessi viene a mancare.

La ragna del melo sverna come larva protetta dall’uovo deposto nel corso dell’estate precedente, schiudendosi in primavera e sfarfallando d’estate per poi ovideporre nuovamente ad agosto. Come si è capito svolgono un’unica ma pericolosa generazione l’anno. Di solito i trattamenti contro gli altri fitofagi riescono a tenere sotto controllo anche l’infestazione di questo insetto. In caso contrario si agisce attraverso l’utilizzo di oli bianchi.

Photo Credit | Inra.fr

 

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