Gli oceani desertificati per un altro grande problema ambientale

Occhio al tema degli oceani desertificati. Negli ultimi vent’anni, le vaste aree oceaniche caratterizzate da scarsi livelli di nutrienti e conseguentemente da una bassa biodiversità sono quasi raddoppiate in estensione. Partendo dal 2,4% della superficie totale degli oceani, queste zone “deserte” hanno raggiunto il 4,5%. Questo allarmante incremento è direttamente collegato al fenomeno della desertificazione marina, un processo che comporta un progressivo e preoccupante impoverimento delle acque.

oceani desertificati
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Diversi aspetti da valutare a proposito degli oceani desertificati

Le implicazioni di tale fenomeno sono di vasta portata, con potenziali ricadute significative sia sull’equilibrio complessivo degli ecosistemi marini che sull’andamento del clima a livello globale. A mettere in luce questa tendenza è uno studio internazionale di grande rilevanza, frutto della collaborazione tra il Laboratorio Modelli e Servizi Climatici dell’ENEA, l’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ismar-Cnr) e lo State Key Laboratory of Satellite Ocean Environment Dynamics (Soed) con sede in Cina.

La ricerca ha focalizzato la sua attenzione sulle trasformazioni che stanno interessando il fitoplancton. Questi microrganismi, spesso invisibili a occhio nudo, costituiscono la base della catena alimentare marina e svolgono un ruolo eccezionale nell’assorbimento dell’anidride carbonica atmosferica attraverso il processo della fotosintesi, rappresentando quindi un elemento cruciale nella regolazione climatica.

Per condurre lo studio, i ricercatori hanno analizzato un’enorme mole di dati satellitari relativi alla concentrazione di clorofilla e alla distribuzione del fitoplancton, raccolti nell’arco di un ventennio, dal 1998 al 2022. L’indagine si è concentrata in particolare sui cinque principali vortici oceanici del pianeta, noti come gyres subtropicali, situati nell’Atlantico (nord e sud), nel Pacifico (nord e sud) e nell’Oceano Indiano.

Questi gyres sono sistemi di correnti superficiali caratterizzati da un movimento anticiclonico dell’acqua, la cui formazione è influenzata da una complessa interazione tra i venti dominanti, la rotazione terrestre e la conformazione dei continenti. Chiara Volta, ricercatrice ENEA e co-autrice dello studio, ha evidenziato che il fenomeno della desertificazione è particolarmente accentuato e visibile nell’Oceano Pacifico settentrionale, dove l’area coinvolta si espande a un ritmo allarmante di 70mila chilometri quadrati ogni anno.

Ha inoltre sottolineato che la desertificazione interessa in modo crescente diverse altre regioni oceaniche, con una vulnerabilità accentuata nelle aree tropicali e subtropicali. Qui, la diminuzione dei nutrienti disponibili può avere impatti devastanti sulla produttività biologica e sulla diversità delle specie marine. La causa principale di questo impoverimento è stata identificata nel riscaldamento globale.

L’aumento delle temperature superficiali rende l’acqua più calda e leggera, impedendole di mescolarsi efficacemente con l’acqua più fredda e ricca di nutrienti che si trova negli strati più profondi. Questa ridotta circolazione e miscelazione limita l’apporto di “cibo” (i nutrienti) verso la superficie, essenziale per il sostegno della crescita del fitoplancton e, di conseguenza, di tutta la catena alimentare marina che da esso dipende.

Lo studio ha anche rilevato una diminuzione della quantità di clorofilla, un pigmento fondamentale per la fotosintesi e un indicatore chiave della salute e dell’abbondanza del fitoplancton. Potrebbe anche trattarsi di un processo attuato da questi microrganismi per adattarsi al cambiamento climatico, ma sta di fatto che tale situazione deve far preoccupare un po’ tutti.

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