Come procede il dibattino sull’obiettivo climatico per il 2040 da raggiungere

Il dibattito all’interno dell’Unione Europea sul cruciale obiettivo climatico per il 2040 ha raggiunto una nuova fase, caratterizzata dall’introduzione di una clausola significativa: un vero e proprio “freno di emergenza”. Questa novità è contenuta nell’ultima bozza di compromesso sul target in discussione, messa a punto dalla presidenza danese dell’UE e datata 2 novembre, con l’intento esplicito di facilitare il raggiungimento di un accordo politico al Consiglio Ambiente in programma a breve.

obiettivo climatico per il 2040
obiettivo climatico per il 2040

Fondamentale capire come stia procedendo il dibattino sull’obiettivo climatico per il 2040

Il cuore di questa modifica risiede nella possibilità di “adeguare” l’ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni al 2040 qualora le rimozioni naturali di carbonio si rivelassero inferiori alle attese. Questa mossa politica risponde in modo diretto alle istanze di alcuni Stati membri, in particolare della Francia, che aveva sollecitato l’introduzione di tale meccanismo di salvaguardia.

Parigi aveva richiesto, nello specifico, di poter ridurre l’obiettivo di taglio delle emissioni di almeno il 3% se gli assorbimenti naturali si dimostrassero insufficienti. Un punto cruciale, menzionato nella bozza visionata dall’ANSA, stabilisce che le eventuali “carenze” negli assorbimenti naturali non dovranno essere compensate “da altri settori economici”.

Questo dettaglio è fondamentale, poiché mira a garantire che lo sforzo di mitigazione non sia indebolito o scaricato sull’industria e su altri comparti già soggetti al sistema di scambio di quote di emissione (ETS). Al di là del freno di emergenza, il nucleo centrale del compromesso ribadisce la volontà di stabilire un meccanismo di revisione biennale dell’obiettivo climatico al 2040.

Questa rivalutazione periodica sarà effettuata dalla Commissione europea in base a dati scientifici aggiornati, progressi tecnologici e considerazioni sulla competitività globale dell’Unione. Tale approccio introduce un elemento di flessibilità e adattabilità a un target di lungo termine. Resta, però, un nodo di profondo disaccordo che i ministri dell’Ambiente dovranno sciogliere: il contributo che i crediti internazionali del carbonio avranno nel calcolo complessivo delle emissioni.

Si tratta di progetti di rimozione o riduzione di CO2 realizzati al di fuori dei confini dell’UE. Le capitali sono divise in due schieramenti principali. Il primo sostiene la proposta iniziale della Commissione UE di limitarne l’uso a una quota del 3% a partire dal 2036. Il secondo, che include Italia e Francia, spinge per aumentare questa quota ad almeno il 5% e, soprattutto, per anticiparne l’entrata in vigore al 2031.

Come segno della delicatezza e della mancanza di un accordo definitivo su questo punto, i riferimenti temporali e percentuali relativi all’utilizzo dei crediti internazionali di carbonio “di qualità” sono ancora riportati tra parentesi quadre nell’ultima bozza. Questo indica chiaramente che la decisione finale spetta ai ministri riuniti in Consiglio. In sintesi, la bozza riflette un complesso equilibrio tra l’ambizione climatica, la necessità di realismo di fronte alle incertezze degli assorbimenti naturali e il dibattito sulla flessibilità finanziaria tramite i meccanismi di compensazione globali.

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