Philadelphus, il fiore degli angeli

philadelphus_fiore degli angeli

II nome scientifico di queste piante deriva dal greco philadelphon che significa letteral­mente « che sente l’amore fraterno ». La scelta di tale nome non è ben chiara e la unica possibile spiegazione potrebbe risie­dere nell’intenso profumo di queste piante, profumo che potrebbe simboleggiare, ap­punto, la profondità dell’affetto fraterno. I Philadelphus vengono chiamati anche « fio­re del Paradiso », « filadelfo » e « pianta de­gli zufoli » o « siringa ».

Dai rami di questi arbusti si ricavavano un tempo fi­schietti e zufoli dalla particolare sonorità.

II « fiore degli angeli » si presta alla forma­zione di dense e fitte siepi, alla creazione di macchie arbustive oppure serve come esemplare isolato. La molteplicità dell’impie­go viene sottolineata anche dalla possibilità di potare questi arbusti anche in modo dra­stico, mantenendoli in « forma » compatta; in tal modo, si ottengono siepi di eccezio­nale robustezza, praticamente impenetrabili.

Dopo il rinvaso, la concimazione

terra concimata

Dopo aver cambiato il vaso alle piante è necessario aiutare i vari esemplari a uscire dalla fase di riadattamento, fase che spesso si manifesta con l’afflosciarsi del fogliame o con l’ingiallimento della vegetazione più bassa.

Per stimolare la ripresa delle specie orna­mentali da appartamento che hanno subito il trapianto, si consiglia di irrorarne spesso la chioma, usando acqua a temperatura am­biente. In genere, queste irrorazioni debbo­no essere ripetute a giorni alterni, ma in qualche caso giova eseguirle ogni giorno. È ovvio che le spruzzature avranno una du­rata brevissima, qualche secondo appena, tanto da inumidire bene il fogliame. Infatti, le irrorazioni troppo prolungate pro­vocano un eccessivo stillicidio di gocce di acqua dalle foglie verso il terreno con il pericolo di convogliare verso le radici una dose d’acqua superiore alle reali necessità della pianta, con la inevitabile conseguenza di provocare fenomeni di marciume o il for­marsi di muffa.

Piante grasse, come nutrirle e moltiplicarle

piante grasse

Negli articoli di questi giorni abbianmo abbondantemente trattato l’argomento “piante grasse”, partendo dal terreno più adatto a loro, spiegando come annaffiarle, ed in fine come prendersene cura e quando effettuarne il rinvaso.

Quest’oggi vedremo invece come nutrire al meglio le “nostre piccoline” e come ottenerne delle nuove.

Iniziamo proprio dal nutrimento più adatto:

al momento dell’impianto è bene mescolare al terriccio un po’ di concime organico in polvere, secondo le dosi indicate sulla con­fezione di ogni prodotto.

Durante il periodo vegetativo, con scaden­za mensile, è opportuno aiutare le piante con fertilizzante minerale solubile (metà dose della quantità indicata sulla confezione del prodotto) aggiunto a estratto di alghe (sem­pre in quantità dimezzata rispetto a quella indicata).

Piante grasse, tutto ciò che c’è da sapere iniziando dal terreno più adatto

piante grasse

Cominciamo col dire che le piante comune­mente chiamate grasse in realtà non lo so­no affatto (esse contengono infatti la minor percentuale di grassi di tutte le specie che compongono il regno vegetale); più esatta­mente dovrebbero essere definite «succu­lente» a indicare la natura carnosa dei loro tessuti.

Questo gruppo di piante, che continueremo a chiamare «grasse» per comodità, com­prende numerose specie appartenenti a fa­miglie diverse, ma con una caratteristica in comune; sono tutte piante «xeròfite» ossia adatte a vivere in ambienti aridi e caldi, ric­chi di luce. La sopravvivenza di questi esem­plari è resa possibile dalia loro struttura «spugnosa» per mezzo della quale assorbono una grande quantità di acqua che rie­scono a conservare a lungo limitando la traspirazione. Infatti le foglie (scientificamente chiamate «cladodi» o «fillocladi»), cioè gli organi che permettono la traspirazione, nelle piante grasse hanno una superficie mol­to ridotta o, addirittura, sono trasformate in spine.